domenica 6 ottobre 2019


Scosse elettriche su ragazzini di 15 anni. Giorni interi rinchiusi in dei container. Strumenti tecnici sofisticati per la cattura di esseri umani. «L’Europa paga la Croazia perché faccia la guardia ai “suoi sacri confini” e della Bosnia ha fatto una discarica umana», dice l’attivista Lorena Fornasir

«Quello che sta accadendo tra la Bosnia e la Croazia è un disastro umanitario». È questa la fotografia che Lorena Fornasir fa di quello che avviene al confine tra i due paesi.
Lorena Fornasier, 66 anni, e suo marito Gian Andrea Franchi, 83, dal 2015 si occupano di migranti. «Io e mio marito prima del 2015 non avevamo mai fatto volontariato nella nostra vita», racconta Lorena Fornasir, «a Pordenone prima, e a Triste dove attualmente viviamo, abbiamo visto arrivare decine – che presto si sono trasformati in centinaia – di migranti. Nessuno si occupava di loro e noi non potevamo voltargli la faccia. Alla notizia di un ragazzo afgano di 20 anni morto schiacciato tra due container mentre dormiva, si stava nascondendo al molo di Trieste, abbiamo deciso che dovevamo andare oltre i confini e capire quello che stava succedendo».
Così i coniugi fanno avanti e indietro tra la Bosnia, la Croazia e Trieste: «raccogliamo donazioni, compriamo beni di prima necessità come cibo, scarpe e coperte, e partiamo. Raccogliamo anche storie e testimonianze: quello che succede è veramente agghiacciante».
Lorena ha lanciato una petizione su Change.org diretta alla corte europea dei diritti dell’uomo “Torture ai confini dell’Europa”. «Le persone migranti che provengono da Paesi devastati dalla guerra e da estrema povertà, pur avendo diritto a richiedere asilo in Europa, secondo la normativa internazionale, sono bloccate in condizioni disumane ai confini tra Bosnia e Croazia».
In Bosnia a Vucjak, 8 chilometri dal confine croato, le persone vivono sopra una ex discarica. A Bihac e Velika Kladuša, sempre sul confine, la situazione sta implodendo. Secondo il report di unhcr la rotta Balcanica segue due strade: quella principale, che dalla Grecia va verso Macedonia del Nord e Serbia settentrionale, e vede il passaggio delle persone in Bosnia Erzegovina nell’area di Zvornik e di Bijeljina attraversando il fiume Drina con piccoli gommoni o percorrendo a piedi i ponti della ferrovia. Poi c'è l'altro flusso che dalla Grecia si muove verso l'Albania e poi in Montenegro verso la Bosnia Erzegovina.
«Tutti vogliono passare il confine per raggiungere l’Europa», spiega Lorena. «Ma quello che succede è, quasi sempre, questo: i migranti vengono arrestati e picchiati quando cercano di superare il confine. Poi vengono rinchiusi per 36 ore in container insieme ai loro escrementi. Dopo 36 li fanno uscire, la polizia gli accerchia. Ne scelgono uno e lo massacrano di botte. Gli altri sono costretti a guardare in attesa che arrivi il loro turno. Pochi giorno fa abbiamo raccolto la testimonianza di un ragazzino di 15 anni seviziato con la corrente elettrica. Dopo ancora li cariano sui camion e li riportano a 25 chilometri dal confine con la Bosnia, lì un’altra squadra di polizia ricomincia con le sevizie. Le donne non sono escluse. Ormai la polizia croata fa di tutto per rintracciarli. Con dei fondi avuti dall’unione europea ha potenziato “la difesa dei confini”, si è munita di droni e di nuove apparecchiature che registrano il calore. Se un migrante si muove nel bosco loro lo troveranno. L’Europa paga la Croazia perché faccia la guardia ai “suoi sacri confini” e della Bosnia ha fatto una discarica umana. Eppure queste persone continuano a provarci, perché o entrano in Europa o muoiono. Non hanno alternative. Tutti parlano delle torture in Libia. Ma anche qui la tortura è all’ordine del giorno. Come possiamo permettere che accada?».
Tanti dei ragazzi intercettati da Lorena e suo marito sono morti: «Lo scorso febbraio, Alì era stato catturato e la polizia croata, dopo vari maltrattamenti, dalla Croazia lo aveva respinto in Bosnia, tra la neve il gelo, levandogli vestiti e scarpe. Alì era ritornato a Velika Kladusa a piedi, tra la neve, vagando per ore. I suoi piedi si erano congelati ed erano andati in necrosi. Dopo mesi di sofferenze, Alì è morto sabato 21 Settembre a causa della disumanità a cui era stato destinato dalla polizia, la carne dei sui piedi cadeva a pezzi. Mercoledì 25 settembre ho incrociato Adnan lungo la strada che scende dal confine di Velika Kladusa in Bosnia Erzegovina, dopo che era stato catturato, seviziato e respinto dalla polizia croata. Gli avevano tolto le scarpe e lo avevano torturato con una sbarra incandescente scorticandogli la gamba. Questi crimini si chiamano tortura. La Croazia, che ha ricevuto milioni e milioni di euro per "contenere" i flussi migratori, è stata dotata di strumenti tecnici sofisticati per la cattura di esseri umani. Sono già state denunciate le sevizie che utilizza in maniera indiscriminata su uomini, donne, bambini. Ora è giunta a perpetrare anche la tortura»
«Chiedo alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo», si legge nella petizione su Change.org, «di condannare con forza le violenze perpetrate dalle forze di polizia croata contro persone inermi. In particolare, chiedo sia preso in esame il trattamento inumano e degradante, l'uso della tortura fisica e l'applicazione della tortura psicologica tramite minacce di morte».

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