Scosse
elettriche su ragazzini di 15 anni. Giorni interi rinchiusi in dei container.
Strumenti tecnici sofisticati per la cattura di esseri umani. «L’Europa paga la
Croazia perché faccia la guardia ai “suoi sacri confini” e della Bosnia ha
fatto una discarica umana», dice l’attivista Lorena Fornasir
«Quello
che sta accadendo tra la Bosnia e la Croazia è un disastro umanitario». È
questa la fotografia che Lorena Fornasir fa di quello che avviene al
confine tra i due paesi.
Lorena
Fornasier, 66 anni, e suo marito Gian Andrea Franchi, 83, dal 2015 si occupano
di migranti. «Io e mio marito prima del 2015 non avevamo mai fatto volontariato
nella nostra vita», racconta Lorena Fornasir, «a Pordenone prima, e a Triste
dove attualmente viviamo, abbiamo visto arrivare decine – che presto si sono
trasformati in centinaia – di migranti. Nessuno si occupava di loro e noi
non potevamo voltargli la faccia. Alla notizia di un ragazzo afgano di 20
anni morto schiacciato tra due container mentre dormiva, si stava nascondendo
al molo di Trieste, abbiamo deciso che dovevamo andare oltre i confini e
capire quello che stava succedendo».
Così
i coniugi fanno avanti e indietro tra la Bosnia, la Croazia e Trieste:
«raccogliamo donazioni, compriamo beni di prima necessità come cibo, scarpe e
coperte, e partiamo. Raccogliamo anche storie e testimonianze: quello che
succede è veramente agghiacciante».
Lorena
ha lanciato una petizione su Change.org diretta alla corte europea dei diritti
dell’uomo “Torture ai confini dell’Europa”. «Le persone migranti
che provengono da Paesi devastati dalla guerra e da estrema povertà, pur
avendo diritto a richiedere asilo in Europa, secondo la normativa
internazionale, sono bloccate in condizioni disumane ai confini tra Bosnia e
Croazia».
In
Bosnia a Vucjak, 8 chilometri dal confine croato, le persone vivono sopra una
ex discarica. A Bihac e Velika Kladuša,
sempre sul confine, la situazione sta implodendo. Secondo il report di unhcr la
rotta Balcanica segue due strade: quella principale, che dalla Grecia va verso
Macedonia del Nord e Serbia settentrionale, e vede il passaggio delle persone
in Bosnia Erzegovina nell’area di Zvornik e di Bijeljina attraversando il fiume
Drina con piccoli gommoni o percorrendo a piedi i ponti della ferrovia. Poi c'è
l'altro flusso che dalla Grecia si muove verso l'Albania e poi in Montenegro
verso la Bosnia Erzegovina.
«Tutti
vogliono passare il confine per raggiungere l’Europa», spiega Lorena. «Ma quello
che succede è, quasi sempre, questo: i migranti vengono arrestati e picchiati
quando cercano di superare il confine. Poi vengono rinchiusi per 36 ore in
container insieme ai loro escrementi. Dopo 36 li fanno uscire, la polizia gli
accerchia. Ne scelgono uno e lo massacrano di botte. Gli altri sono costretti a
guardare in attesa che arrivi il loro turno. Pochi giorno fa abbiamo raccolto
la testimonianza di un ragazzino di 15 anni seviziato con la corrente
elettrica. Dopo ancora li cariano sui camion e li riportano a 25 chilometri dal
confine con la Bosnia, lì un’altra squadra di polizia ricomincia con le
sevizie. Le donne non sono escluse. Ormai la polizia croata fa di tutto per
rintracciarli. Con dei fondi avuti dall’unione europea ha potenziato “la difesa
dei confini”, si è munita di droni e di nuove apparecchiature che registrano il
calore. Se un migrante si muove nel bosco loro lo troveranno. L’Europa paga
la Croazia perché faccia la guardia ai “suoi sacri confini” e della Bosnia ha
fatto una discarica umana. Eppure queste persone continuano a provarci, perché
o entrano in Europa o muoiono. Non hanno alternative. Tutti parlano delle
torture in Libia. Ma anche qui la tortura è all’ordine del giorno. Come
possiamo permettere che accada?».
Tanti dei ragazzi intercettati da Lorena e suo marito sono
morti: «Lo scorso febbraio, Alì era stato catturato e la polizia croata, dopo
vari maltrattamenti, dalla Croazia lo aveva respinto in Bosnia, tra la neve il
gelo, levandogli vestiti e scarpe. Alì era ritornato a Velika Kladusa a piedi,
tra la neve, vagando per ore. I suoi piedi si erano congelati ed erano andati
in necrosi. Dopo mesi di sofferenze, Alì è morto sabato 21 Settembre a causa
della disumanità a cui era stato destinato dalla polizia, la carne dei sui piedi
cadeva a pezzi. Mercoledì 25 settembre ho incrociato Adnan lungo la strada che
scende dal confine di Velika Kladusa in Bosnia Erzegovina, dopo che era stato
catturato, seviziato e respinto dalla polizia croata. Gli avevano tolto le
scarpe e lo avevano torturato con una sbarra incandescente scorticandogli la
gamba. Questi crimini si chiamano tortura. La Croazia, che ha ricevuto milioni
e milioni di euro per "contenere" i flussi migratori, è stata dotata
di strumenti tecnici sofisticati per la cattura di esseri umani. Sono già state
denunciate le sevizie che utilizza in maniera indiscriminata su uomini, donne,
bambini. Ora è giunta a perpetrare anche la tortura»
«Chiedo alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo», si legge
nella petizione su Change.org, «di condannare con forza le violenze perpetrate
dalle forze di polizia croata contro persone inermi. In particolare, chiedo sia
preso in esame il trattamento inumano e degradante, l'uso della tortura fisica
e l'applicazione della tortura psicologica tramite minacce di morte».
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