Alessandro Barbero a OggiScuola:
“L’insegnamento è il più frustrante dei mestieri moderni”
3/9/2018
La scuola, nel corso degli ultimi anni, ha subito grandi
mutazioni sia dal punto di vista didattico che legislativo. Spesso, a pagarne a
caro prezzo le conseguenze, sono gli insegnanti. Per fare il punto, la
redazione si OggiScuola ha contattato il professore Alessandro Barbero,
storico e scrittore italiano, famoso, tra le altre numerose attività, per
essere ospite fisso di Piero Angela negli studi di Superquark.
Gli insegnanti oggi sono una vera e propria categoria “sotto
attacco”, da cosa crede che dipenda questo radicale cambiamento nei confronti
di una classe che fino a dieci anni fa, era stimata e rispettata?
Intanto, io direi non dieci, ma venti o venticinque anni fa:
l’aggressione è cominciata allora. Le cause sono: a livello immediato, la
svolta a destra della politica italiana, che ha comportato l’antipatia evidente
di molti governi nei confronti di un mondo, quello degli insegnanti,
tradizionalmente considerato di sinistra; ma più in profondità, e in modo più
insidioso, la svolta a destra dell’intero mondo occidentale, l’ideologia unica
del profitto, l’esaltazione dell’imprenditoria come sale della terra. Ne
risulta una classe dirigente che non capisce letteralmente più a che cosa
servano la cultura, la scuola, lo spirito critico, e quando lo capisce, li
considera dei pericoli da neutralizzare. La recente introduzione
dell’alternanza scuola-lavoro è un passo importante nella distruzione del
diritto allo studio per cui generazioni hanno combattuto: passare l’intera
infanzia e adolescenza a scuola, senza essere obbligati a lavorare, non è più
un diritto né un ideale, ma viene presentato come un lusso o una perdita di
tempo, che allontana dal cosiddetto mondo reale. La scuola non deve produrre
teste pensanti, ma esecutori, tecnici: è solo in questi termini che la classe
dirigente riesce a concepirla.
Insegnare oggi, sia in ambito scolastico che universitario,
significa doversi costantemente aggiornare. Crede che sia più complesso essere
al passo con i tempi nella scuola o negli atenei? E’ certamente molto più
complesso nella scuola. La scuola è stata aggredita molto prima dalla nuova
cultura della pianificazione, dell’offerta formativa, delle sigle ridicole,
della burocrazia kafkiana e della perdita di tempo istituzionalizzata;
l’università sta subendo questa aggressione solo adesso (senza, peraltro, aver
imparato niente da quello che è successo alla scuola). Ma all’università c’è
comunque una maggiore autonomia del docente, che se ha già fatto carriera, o se
rinuncia a farla, può difendersi meglio dall’immensa mole di perdite di tempo e
frustrazioni che schiaccia gli insegnanti.
Burnout. Il Garante per l’Infanzia della Regione Calabria,
dott. Antonio Marziale, ritiene che il supporto psicologico nella scuola possa
apportare seri e concreti benefici per i docenti. E’ d’accordo? Come crede che
si debba intervenire? Io non ho nessuna idea su come si possa fare per
combattere il fenomeno del burnout. O meglio, so benissimo che verrebbe ridotto
drasticamente se gli insegnanti fossero assunti regolarmente, pagati bene e
lasciati lavorare in pace; siccome queste appaiono oggi condizioni da favola,
del tutto irrealizzabili, e fare l’insegnante non è più soltanto uno dei lavori
più faticosi del mondo, come è sempre stato, ma anche uno dei più frustranti
(cosa che non era fino a vent’anni fa) il dilagare del burnout è inevitabile.
Prenderne atto sarebbe già molto.
Se potesse dare un consiglio alla classe docente di oggi,
cosa indicherebbe? Cominciare a combattere apertamente tutto ciò che in cuor
loro riconoscono come offensivo, inutile, frustrante, senza avere il coraggio
di dirlo. Non compilare le scartoffie superflue, non andare alle riunioni che
fanno perdere tempo, togliere il saluto a chi parla di meritocrazia, isolare
nel disprezzo i dirigenti scolastici che si prestano alla distruzione della
scuola e all’umiliazione degli insegnanti; e queste cose dirle e spiegarle ai
ragazzi e alle loro famiglie. E’ una battaglia e le battaglie si rischia di
perderle, ma quando è il momento bisogna comunque combatterle – o arrendersi.
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