La
lettera della professoressa del Giovio che annienta la ministra Azzolina
„Gentile ministra Azzolina,
pensavo avessimo toccato il fondo ultimamente, che nel mondo della scuola
peggio di così non si potesse andare. L'ho pensato quando l’ho vista ospite di
Barbara d'Urso. E l'ho pensato quando venerdì nella mia scuola ci sono arrivati
i banchi con le rotelle.
Invece no: al peggio non c’è mai limite.
E’ di ieri la circolare secondo cui gli insegnanti delle scuole superiori (io
tra questi) sono tenuti ad andare a scuola a fare lezione ai loro alunni, che
però non ci sono, perché - sulle ragioni drammaticamente ovvie sorvolo - gli
alunni sono a casa.
Leggo perplessa questa circolare e penso: ma perché, se la scuola è vuota, non
posso fare lezione da casa pure io? Lavorare da casa, con il mio computer, come
stanno facendo migliaia di lavoratori senza esporsi a un rischio evitabile?
La risposta è che la modalità di lavoro “agile” non è prevista per la nostra
specifica categoria.
Dolcetto o scherzetto? Ho pensato ad una bufala, ministra, sul serio.
Perché tutti ci dicono che è meglio starsene a casa e a noi professori - che in
Italia vantiamo il primato di essere i più anziani d’Europa - ci vien detto che
no, da lunedì dobbiamo uscire per andare sul posto di lavoro.
Una volta lì, trotterelleremo mascherati da un’aula all’altra della scuola
cambiando ogni ora postazione, sputazzeremo su una tastiera su cui hanno sputazzato
prima di noi altri colleghi, faremo lezione in aule in cui la temperatura non è
proprio tropicale, la connessione non proprio velocissima, l’acustica non
proprio da studio di registrazione, e passeremo le ore buche tutti insieme in
sala professori sorseggiando vin brulé e ricordando i vecchi tempi… Di quando
la Didattica a Distanza non c’era, ma c’era solo la Didattica in presenza, che
era rimasta l’unica cosa bella dell’insegnamento in una scuola completamente
allo sfascio.
Sa, ministra, dagli Spartani in poi son stati tanti a dire che troppe comodità
rammolliscono: in effetti che figata pazzesca fare lezione senza mascherina,
spiegare grammatica e letteratura in ciabatte dal proprio salotto, tenendosi
una copertina sulle gambe, sorseggiando una tazza di tè e accarezzando il gatto
che passa e - qui esagero - nei cinque minuti di pausa tra una lezione e
l’altra, arrivare a mettere sul fuoco la pentola dell’acqua per il pranzo…
Troppa grazia sarebbe, vero? Forse sì, dato che noi insegnanti fancazzisti di
privilegi ne abbiamo fin troppi: non ci bastano quei tre mesi estivi di
vacanza, no; ora pretendiamo pure di lavorare da casa.
Signora ministra, io quando ho realizzato che veramente da lunedì dovrò fare
lezione da scuola ad alunni che a scuola non sono, ho cominciato seriamente a
preoccuparmi.
Non per la mia salute psichica, che vabbè; e nemmeno per quella fisica, anche
se ne avrei motivo.
Sono preoccupata perché i miei alunni mi credono una brava persona e invece mi
sa che sono fuori legge: ammetto di aver finto di non sapere che la Didattica a
Distanza non era scritta nel mio contratto.
Eppure l'ho fatta lo stesso, facendomi il mazzo (mi perdoni l’aulicismo) perché
a un professore vero, quando non ha alunni da guardare in faccia, è come se
mancasse l’aria.
L’ho fatta per quattro lunghissimi mesi, da marzo a giugno, godendo
vergognosamente di tutti i privilegi possibili - le ciabatte, la copertina, il
te, il gatto - mentre facevo lezione da casa mia: non per giustificarmi, ma era
l’unico modo per non perdere i miei ragazzi (e per non perdermi io).
L’ho fatto quando nessuno me l’ha chiesto, quando nessuno mi diceva che il
lavoro “agile” non poteva rientrare nelle mie mansioni.
Vorrei capire che cosa rischio, ministra, se le dico, già che ci siamo, che a
settembre, dopo che son finite le vacanze, quando è ricominciata la scuola, io
ho perdurato nell’errore e ancora oggi vivo nel peccato: perché da casa mia ho
fatto e sto facendo un casino di ore in modalità “agile” fra riunioni, consigli
di classe, colloqui con i genitori… in quale contratto sta scritto? E tirandomi
la zappa sui piedi le ho pure verbalizzate, queste ore, il Web è pieno di
tracce che a un processo m’inchioderebbero.
Un’ultima cosa mi è venuta in mente, per la quale forse sono da arrestare: che
io il lavoro “agile” lo faccio da più di vent’anni portandomi a casa quintalate
di compiti in classe da correggere e preparandomi le lezioni per l’indomani.
Vorrei capire, ministra.
Non è scritto nel mio contratto, ma ai ragazzi insegno pure il pensiero critico
e a domandarsi il senso delle cose.
Sarebbe così gentile da spiegarmi che senso ha tutto questo?
Sempre che il suo contratto lo preveda: di dialogare con chi, come me, la
scuola la vive davvero.
prof. Valentina Romano,
Liceo Scientifico Paolo Giovio di Como“
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