La poesia di Tommaso Meldolesi è in costante
equilibrio fra puro lirismo e riflessione filosofica; ma non intendo questo
come una sorta di poesia bifronte, ricca ma che magari non riesce a fondere i
due elementi, che restano fili indipendenti e oscillanti quasi come due voci
separate. No: Meldolesi – e si vede bene in questo Oltre il muro del tempo, riesce a innervare il lirismo (che domina
tre delle quattro sezioni, eccetto la prima) di una riflessione di fondo, in
virtù della quale gli squarci lirici fungono da exempla concreti, direi da correlativi oggettivi per un discorso
più ampio e profondo, che tocca snodi centrali del pensiero non solo
contemporaneo.
Essere e divenire, spleen e slancio vitale,
spazio e tempo: ecco le polarità principali che mi pare di rinvenire in un
libro bello e importante come questo.
Il tempo e lo spazio, in realtà, per la fisica
moderna (che parla di spaziotempo) sono quasi indistinguibili: ci muoviamo
anche nella stasi, viaggiando con il nostro pianeta attorno al sole a 30 km/sec
e, alle nostre latitudini, a circa 1000 km/ora di rotazione: l’idea di stasi
è quasi irrealizzabile, se non in un
universo morto.
Gettarsi oltre
il muro del tempo (e dello spazio, quindi), cioè viaggiare nello spazio e
nel tempo, come suggerisce la fisica, è un’esigenza vitale come il crescere.
Questa non è, spero, una astratta elucubrazione personale, ma la materia stessa
di cui è fatto questo libro, che mostra una struttura molto calibrata, grande
coerenza immaginativa e coesione testuale.
È la prima sezione che si incarica di costruire
lo sfondo che sarà ulteriormente arricchito di figure nelle tre parti successive
e che costituirà globalmente quello che nella Nota introduttiva Tommaso
definisce “Viaggio nella memoria, viaggio nella mente e insieme della vista che
coglie in un istante immagini e sensazioni”. Viaggio, appunto, per uscire dalla
stasi e dalla solitudine così bene descritte già nel primo testo: “ed io
rimango solo, nella pioggia, / a rimirare
il mondo che si sfaglia” – dove, in quel rimirare,
c’è un’eco non troppo velata del leopardiano “sedendo e mirando” (anche qui
abbiamo un muretto e un cespuglio, che richiamano la siepe dell’Infinito). Appunto, questo è un viaggio nell’Oltre, che viene accolto in
anafora nel terzo testo, che ci stimola quasi ad andare “oltre . . . il sacco vuoto del mio corpo avvilito”:
uscire da sé, sperimentare la dinamicità, il divenire, la vita direi, uscendo
da una mote spirituale che non è chiaramente solo quella di un corpo singolo,
di una mente, di una spiritualità e di una biografia.
A tratti emerge la perdita di un Tu (Conseguenze, p. 61) descritto come immobile
“prigioniero” (“rimani da sola / a fissare i colori”, p. 25). Notiamo con
attenzione ogni singola parola di questa striscia, emblematica della stasi e
del vuoto. Appare subito dopo un’altra parola chiave, vuoto: “Stai misurando la pregnanza del vuoto / in questa stanza spoglia” (p. 26).
Ecco, provando a tirare le somme di un discorso
(che per forza di cose non può essere troppo approfondito in questa sede), un
rapido spoglio dei lemmi ci mostra due opposti e ben distinti campi semantici:
da un lato abbiamo il campo predominante di stasi/silenzio/vuoto/morte,
dall’altro il campo viaggio/oltre/esperienza/vita.
Tra le molte e originali modulazioni annoto migrazione:
molto interessante, perché proietta il libro nella concretezza del presente e
della cronaca. Sono modulazioni che attestano un poeta che (in una mia
formuletta) considera l’Io non tanto un oggetto tematico, ma un punto di vista
da cui scrivere della modernità, del mondo, di noi. E che non fa astratta
filosofia, ma è capace di innervare il discorso poetico di pensiero vivo e
profondo.
Ho parlato di coerenza e coesione, che
testimoniano se ce ne fosse bisogno come un libro di poesia non sia solo un
libro di poesie, ma debba esibire una visione del mondo.
Stabilite così almeno le coordinate testuali del
libro, le tre sezioni successive (per nulla meno interessanti) procedono a svolgere
il discorso sempre restando in re,
riportando frammenti (spesso con affetto, specie nella memoria) di questo
“vuoto evanescente”, mentre barlumi di sirene che attraggono e tentano l’Io
lirico ad uscire dall’immobilità.
Oltre il
muro del tempo
non è un libro apocalittico, ma certo è tutto intessuto nelle problematiche e
nei drammi della presente modernità. Saranno uno scarabeo che “inerpica la
china” (p. 52) e un insetto che “s’incammina a fatica” (p. 53) a indicare un
percorso ideale per la scoperta del mondo e l’uscita dalla staticità su
“zattere del pensiero” (p. 63). E questa lucidità è l’obbiettivo più alto di un
libro di poesia.
Mauro
Ferrari
Nessun commento:
Posta un commento