domenica 15 novembre 2015



QUALCHE RIFLESSIONE SUGLI ATTENTATI DI PARIGI DEL 13 NOVEMBRE 2015
                                                                                             di  Tommaso Meldolesi
I sei attentati che hanno messo l’altra sera in ginocchio la capitale francese costituiscono un colpo durissimo alla democrazia e a tutta la civiltà occidentale. Un fatto senza precedenti, annunciato dieci mesi fa dalla barbara uccisione dei giornalisti della testata satirica Charlie Hebdo. Ancora un fatto di sangue che imbratta il centro di Parigi, ancora una volta la Francia vittima della violenza dello stato islamico. “La Francia, il paese che gli jiadisti amano odiare” così il 14 novembre uno dei numerosi titoli del celebre quotidiano Le Monde. Ma perché la Francia? Perché proprio in questo momento? E perché non aver scelto i quartieri commerciali o la sede del potere politico? Ci si pone queste e tante altre domande mentre siamo scossi e disorientati dinanzi a tanta violenza. Siamo ancora increduli nell’udire le notizie che ci giungono da Parigi: un numero di morti sempre in crescita una situazione che non smette di preoccupare tanto gli opinionisti, quanto e soprattutto la gente comune. In molti il giorno dopo gli attentati, a Parigi, hanno trascorso la giornata asserragliati in casa per la paura.  Il governo stesso ha invitato i parigini a non uscire se non per bisogni estremamente urgenti. La tensione è alle stelle. E con una faccia tirata e la voce rotta dall’emozione, l’altra sera quasi a mezzanotte, nel suo discorso alla nazione, il presidente della Repubblica François Hollande ha parlato di due decisioni forti prese in queste drammatiche circostanze: la prima è “lo stato di allerta” esteso a tutto il territorio che potrebbe implicare la chiusura di alcune vie di comunicazione e l’obbligo di perquisizioni; la seconda riguarda la chiusura delle frontiere al fine d’impedire possibili arrivi in Francia di personaggi sospetti. Hollande ha anche parlato della necessità di essere uniti e forti per fronteggiare questo momento particolarmente difficile e di non tirarsi indietro di fronte alle grandi difficoltà del paese, ma di avere fiducia nelle istituzioni affinché riportino la situazione della capitale alla normalità.
E’ stato peraltro proprio il presidente Hollande, per la sua decisione d’intervenire militarmente in Siria, ad essere una delle cause dell’attacco del 13 novembre. Ci sono tuttavia sono almeno altre due cause da prendere in considerazione: la prima è che il Medio Oriente, dove la religione musulmana è molto forte, ci sono campi di addestramento per giovani e anche per giovanissimi ragazzini che vengono iniziati alla cultura del fanatismo religioso; tutto questo è completamente sfuggito di mano alla cultura occidentale. La seconda è che nelle banlieues che circondano Parigi, soprattutto nella parte nord della città, intorno a Saint-Denis, per l’appunto non lontano dallo “Stade de France”, una cospicua fetta della popolazione vive in condizioni molto disagiate. Soprattutto i giovani, spesso provenienti dal Nord-Africa, rimangono facilmente affascinati dall’ideologia totalizzante dell’estremismo religioso. Là dove c’è una mancanza, una situazione di povertà e sofferenza, l’adesione ad una fede religiosa totalizzante  rappresenta spesso l’unica alternativa in cui potersi riconoscere, al punto da farsi imbottire la testa di idee fanatiche che possono portare gli adepti a percorrere la strada verso il sacrificio e l’auto-distruzione. Perché allora scegliere i quartieri  “bene”, quelli in cui si decide il futuro del paese, ma quelli invece che il 14  novembre in un bell’articolo su “Nazione Indiana”, Giacomo Sartori definisce della “mixité”, ossia di un mescolamento culturale e sociale molto variegato? Son questi  i quartieri in cui la gente esce, si incontra a bere un bicchiere dopo cena, i locali in cui si fa “la fête”: cose che molti ragazzi delle banlieues non si possono permettere. Per questa ragione decidono di scagliarsi non contro un mondo che in realtà è molto lontano da loro come quello dell’alta finanza o delle grandi decisioni politiche, ma con un mondo a loro più vicino, quello della popolazione borghese da loro odiata perché felice e benestante.  E, a causa della crisi che nel corso di questi anni in Francia, come in Italia, ha allargato notevolmente il ventaglio della povertà, empre più numerosi saranno coloro che devono abbandonare la vita parigina e, per ragioni economiche, trovare un alloggio nelle zone limitrofe, nelle banlieues, appunto. Vengono allora in mente le scene terribili del film La Haine, il film de Mathieu Kassovitz uscito nel 1995 che già vent’anni fa mostrava le grandi disparità che esistono tra le diverse fasce della popolazione anche nella ricca e appariscente, oltre che colta Parigi. Là dove ad essere escluso dallo sviluppo e dalla crescita della società è soprattutto chi ha origini nord-africane o mediorientali,  la marginalità si spiega spesso attraverso una recriminazione profonda intrisa d’odio a cui si aggiunge il  fanatismo religioso. La manifestazione di tutto ciò sfocia inevitabilmente nella violenza verso tutto ciò che incarna l’agiatezza del mondo occidentale. Per di più, il modello scolastico che viene proposto dall’Europa tenderà, a partire dal prossimo futuro, ad escludere progressivamente le fasce più deboli della popolazione e  a costringerle ad una crescente e continua situazione di marginalizzazione. L’odio verso la società occidentale potrebbe aumentare nelle banlieues a tal punto da rappresentare per l’Europa un problema insormontabile.
In questo momento la società europea sta vivendo un periodo di grande difficoltà, in quanto diversi governi in carica, nel tentativo di fronteggiare la crisi,  sempre più spesso si fanno promotori di decisioni volte a soddisfare solo in parte le esigenze e le aspettative della popolazione e la destra oltranzista e qualche movimento di recente formazione non aspettano altro per cavalcare il malcontento soprattutto presso i ceti meno abbienti. Ora, un ulteriore attacco sferzato nel cuore dell’Europa, a Parigi che in passato fu la capitale indiscussa della cultura europea, ma che gli ideatori e gli autori degli attentati del 13 novembre considerano per i suoi attacchi alla Siria, oltre che per la sua vicinanza con la Germania (uno degli obiettivi scelti dagli attentatori è stato lo stadio dove si stava giocando una partita amichevole tra le formazioni dei due stati europei) rende tutta l’Europa e tutto l’Occidente ancora più in bilico, vulnerabile e in preda al terrore. Potrebbero verificarsi altri attentati? Dove? A Roma? A Milano? A Londra? A New York? Non si sa nulla, ma serpeggia tra la gente comune un sentimento di paura e d’impotenza di fronte agli attentati e all’impossibilità di creare un dialogo sulle ragioni di tanta violenza. Tutto questo porta, neanche tanto di rado, erroneamente, molte persone a considerare potenzialmente pericolosi, tutti i musulmani che abitano in Occidente, indipendentemente dalle loro posizioni o dal loro livello d’integrazione nella società, e di creare quindi un clima di sfiducia e di frammentazione all’interno della società.
Infine, gli attentati di Parigi hanno avuto luogo un venerdì, giorno di riposo e di preghiera per la cultura islamica, ma per molti francesi, giorno in cui inizia “la fête” che precede il week-end: diversità di vedute, d’impostazione, di cultura. Probabilmente c’è chi interpreta la “fête” del venerdì sera o l’atmosfera d’euforia causata da un concerto rock, come i segnali del degrado e della corruzione della società, ma a questo non si può contrapporre la violenza che semina il terrore, il panico e la morte di vittime innocenti. Nella cultura occidentale fondata sulla dialettica, sul dialogo e sul confronto di opinioni diverse, qualsiasi manifestazione di violenza e di morte è da condannare, senza mezzi termini.

15 novembre 2015