venerdì 30 aprile 2021

Oramai non è più tempo di stupirsi

Oramai sono morti

119000, sì proprio così

centodiciannovemila,

soltanto in Italia

oggi venticinque aprile duemilaventuno

Ah si?

e nel mondo?

Beh nel mondo sono molto di più

Vediamo,

si, ecco: sempre oggi sono

3113120, sì è esatto

tremilionicentotredicimilacentoventi!

Ma è pazzesco!

E’vero!

E di chi è la colpa?

Con chi bisogna prendersela?

Con la politica?

Con le strutture sanitarie locali?

regionali? nazionali?

Con i medici? Con gli infermieri?

Col ministro della salute?

Con quello della giustizia?

Con il primo ministro?

Col papa?

La gente comune

non sa più cosa pensare

si sente presa dai Turchi

non sa più con chi arrabbiarsi.

 

No, non c’è più da stupirsi

La morte qui adesso è all’ordine del giorno.

Non fa più notizia ormai

Sulle prime pagine dei giornali

È come se fosse l’amara consuetudine

D’una forza più grande e potente

di tutti noi messi insieme

si è stata una disgrazia, è vero,

ma adesso ci sono i vaccini

eppure la gente continua a morire.

 

E appena si abbassano le morti

e i contagi, la gente riprende

ad uscire, a incontrarsi,

a farsi le serate,

gli aperitivi, gli inviti a cena,

molti rigorosamente senza mascherina

né nessun altro tipo di protezione contro il virus.

Cosa bisogna pensare?

Come bisogna intervenire?

E  i contagi riprendono

E le morti e la sfiducia

Nella scienza, nella medicina,

nel progresso sfrenato

e dissennato

che sta portando l’uomo

alla distruzione del proprio pianeta

della proprio entourage

del proprio se stesso.

L’uomo è allora davvero causa del proprio dolore?

Sois sage ma douleur” diceva Baudelaire

e invece sembra che l’uomo non voglia ascoltare

e spanda il dolore a se stesso

e a chi gli càpita d’incontrare

indiscriminatamente

 

Poi in fondo c’è una distesa bianca e compatta

che ci inghiottirà tutti,

chi prima, chi dopo,

inesorabilmente.

 

 

Tommaso


domenica 25 aprile 2021

 

 

Andrea Zanzotto, la poesia mia difesa

Il poeta incontra Giorgio Albertazzi e un gruppo di giovani

Andrea Zanzotto, la poesia mia difesa

 

Andrea Zanzotto (1921-2011) è stato uno dei maggiori poeti del Novecento. In questo filmato rarità di Rai Teche, l’attore Giorgio Albertazzi, insieme a un gruppo di ragazzi, intesse con l’autore stesso un dialogo incentrato sul rapporto tra poesia e realtà. La poesia Sì, ancora la neve!, tratta dalla raccolta La Beltà (1968), costituisce uno degli esiti più maturi di una poetica basata sull’innovazione lessicale, sullo scardinamento del linguaggio, un linguaggio in cui il poeta letteralmente si “inabissa”. A tale sperimentalismo è sottesa l’idea della poesia come atto di verità. La sua valenza conoscitiva tuttavia non si risolve in un risultato, in un approdo, ma consiste piuttosto in una ricerca perenne di senso. La poesia di Zanzotto è precipuamente “resistenza alla perdita di senso” dell’uomo e del mondo, tensione verso un significato che si dà in modo intermittente e solo nel linguaggio poetico, la cui capacità di significazione è comunque sempre messa in discussione.
Questo tentativo di afferrare un mondo, una realtà recalcitrante, che sempre sfugge, è accompagnato dalla consapevolezza profonda dell’accidentalità dell’uomo. Il richiamo alla neve è dunque il richiamo a qualcosa di imperituro: la neve è sempre la stessa di cento milioni di anni fa, nonostante la corruzione consumistica attuale. Le ultime riflessioni che emergono in questo filmato sono dedicate alla vocazione rivoluzionaria della poesia e al rapporto tra quest’ultima e gli sviluppi tecnologici che hanno segnato la più recente storia dell’uomo. Zanzotto auspica una tecnologia pulita ed elegante, in accordo con la natura, una tecnologia che sia “poeticamente programmata”.

Nato a Pieve di Soligo nel 1921, Andrea Zanzotto partecipò alla Resistenza nella fila di Giustizia e Libertà, occupandosi del settore stampa e propaganda. A guerra finita emigrò in Svizzera e in Francia per un anno, rientrando alla fine del 1947 e ripartendo dalla scuola, dove aveva iniziato l'insegnamento poco prima della guerra. Per la sua produzione artistica, cominciata in giovane età, fu decisiva la partecipazione, nel 1950, al premio San Babila. La giuria, composta dai più grandi poeti italiani dell'epoca (Ungaretti, Montale, Quasimodo, Sinisgalli e Sereni), gli attribuì il primo premio per una serie di scritti poetici che saranno pubblicati un anno dopo con il titolo Dietro il paesaggio. L'esperienza partigiana e l'attaccamento al suo territorio ed al suo passato ne hanno segnato l'opera, tornando attraverso i temi sociali, politici e ambientali. "Che cosa si capisce della vita dopo 90 anni?" gli aveva chiesto un giornalista nel giorno del suo 90° compleanno. "Niente - aveva risposto lui - per dire parole che valgano la pena bisognerebbe almeno averne 900 di anni...".

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Tiri in porta
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Fuorigioco
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Occasioni da rete
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Palle recuperate
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Ammonizioni
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Andrea Zanzotto (1921-2011) è stato uno dei maggiori poeti del Novecento. In questo filmato rarità di Rai Teche, l’attore Giorgio Albertazzi, insieme a un gruppo di ragazzi, intesse con l’autore stesso un dialogo incentrato sul rapporto tra poesia e realtà. La poesia Sì, ancora la neve!, tratta dalla raccolta La Beltà (1968), costituisce uno degli esiti più maturi di una poetica basata sull’innovazione lessicale, sullo scardinamento del linguaggio, un linguaggio in cui il poeta letteralmente si “inabissa”. A tale sperimentalismo è sottesa l’idea della poesia come atto di verità. La sua valenza conoscitiva tuttavia non si risolve in un risultato, in un approdo, ma consiste piuttosto in una ricerca perenne di senso. La poesia di Zanzotto è precipuamente “resistenza alla perdita di senso” dell’uomo e del mondo, tensione verso un significato che si dà in modo intermittente e solo nel linguaggio poetico, la cui capacità di significazione è comunque sempre messa in discussione.
Questo tentativo di afferrare un mondo, una realtà recalcitrante, che sempre sfugge, è accompagnato dalla consapevolezza profonda dell’accidentalità dell’uomo. Il richiamo alla neve è dunque il richiamo a qualcosa di imperituro: la neve è sempre la stessa di cento milioni di anni fa, nonostante la corruzione consumistica attuale. Le ultime riflessioni che emergono in questo filmato sono dedicate alla vocazione rivoluzionaria della poesia e al rapporto tra quest’ultima e gli sviluppi tecnologici che hanno segnato la più recente storia dell’uomo. Zanzotto auspica una tecnologia pulita ed elegante, in accordo con la natura, una tecnologia che sia “poeticamente programmata”.

Nato a Pieve di Soligo nel 1921, Andrea Zanzotto partecipò alla Resistenza nella fila di Giustizia e Libertà, occupandosi del settore stampa e propaganda. A guerra finita emigrò in Svizzera e in Francia per un anno, rientrando alla fine del 1947 e ripartendo dalla scuola, dove aveva iniziato l'insegnamento poco prima della guerra. Per la sua produzione artistica, cominciata in giovane età, fu decisiva la partecipazione, nel 1950, al premio San Babila. La giuria, composta dai più grandi poeti italiani dell'epoca (Ungaretti, Montale, Quasimodo, Sinisgalli e Sereni), gli attribuì il primo premio per una serie di scritti poetici che saranno pubblicati un anno dopo con il titolo Dietro il paesaggio. L'esperienza partigiana e l'attaccamento al suo territorio ed al suo passato ne hanno segnato l'opera, tornando attraverso i temi sociali, politici e ambientali. "Che cosa si capisce della vita dopo 90 anni?" gli aveva chiesto un giornalista nel giorno del suo 90° compleanno. "Niente - aveva risposto lui - per dire parole che valgano la pena bisognerebbe almeno averne 900 di anni...".

 

 

 

 25 APRILE 2021

“Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buonafede, più idealista, c'erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l'Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c'era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, ché di queste non ce ne sono.”
Con queste parole di Italo Calvino cerchiamo di rispondere ai tentativi, purtroppo sempre in auge, di mettere sullo stesso piano chi combatteva nella Resistenza e chi invece si batteva per il trionfo del Nazismo.
Non facciamo fatica ad ammettere che nel corso della lotta di Liberazione e nel primissimo dopoguerra, alcuni partigiani, ex partigiani, o soggetti che si proclamavano tali, si macchiarono di crimini gravi, talvolta totalmente gratuiti ed ingiustificati, talvolta mossi da un desiderio di rivalsa, dopo vent’anni di dittatura e cinque di guerra durissima.
Fatti che comunque non giustificavano vendette immotivate e a freddo.
Detto ciò non si possono, da alcun punto di vista, mettere sullo stesso piano gli uomini e le donne della Resistenza con coloro che scelsero di collaborare con il regime nazista nell’occupazione del Paese, nelle stragi contro i civili; con coloro che parteciparono attivamente ai rastrellamenti, alle torture alle deportazioni di tanti e tante, mandati a morire nei campi di prigionia e sterminio.
45.000 partigiani morti, 20.000 mutilati o invalidi, la partecipazione delle classi subalterne alla lotta per l’emancipazione collettiva, per la Liberazione del Paese, per la definitiva cancellazione del fascismo, gli scioperi sociali, il no dei tanti prigionieri italiani ad entrare nei reparti della RSI, le diserzioni, il freddo, la fame, il coraggio e il sacrificio.
Tutto questo e molto altro ancora è stata la guerra di Resistenza.
Una guerra durissima, in cui il variegato movimento partigiano combatteva in primo luogo contro il nazifascismo e in seconda battuta per consegnarci un Paese diverso in cui vivere dopo il conflitto.
Se poi, come diceva Norberto Bobbio, “l’Italia non è diventata quel paese moralmente migliore che avevamo sognato: la nuova classe politica, salvo qualche rara eccezione, non assomiglia a quella che ci era parsa raffigurata in alcuni protagonisti della guerra di liberazione, devoti al pubblico bene, fedeli ai propri ideali, intransigenti, umili e forti insieme.”, non è certo per responsabilità dei partigiani, che hanno sempre avuto la forza di ammettere anche i limiti, gli errori e le responsabilità della Resistenza.
Fatto, se possibile, che li rende ancora più meritevoli di essere ricordati.

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