mercoledì 22 dicembre 2021

In uno scompartimento ferroviario

Tommaso di Tommaso Meldolesi

Era mattina presto. Fuori già faceva caldo e si prospettava una giornata bollente. “Meglio scappare da questo forno!”, pensai salendo sul treno delle sette meno un quarto. Ero convinto che una volta adagiato sul mio sedile sarei stato molto meglio grazie anche all’aria condizionata. Ma l’aria condizionata non funzionava. In compenso trovai seduto nel mio scompartimento un tizio assai strano che stava occupando il posto che mi ero prenotato. Visto che non c’erano altri viaggiatori, per evitare inutili discussioni, mi sedetti di fronte a lui. Lo scrutai attentamente. Non era giovane e aveva un fisico molto asciutto, il volto ossuto, i baffetti e gli occhialini un po’ retrò. Portava un completo di cotone a righe bianche e nere, sopra una camicia blu e una cravatta in tinta con il vestito. Vidi che sopra il sedile, nel ripiano adibito alle valigie, si trovava una bombetta che probabilmente gli apparteneva e provai per un istante a immaginarmelo con in testa quello strano copricapo alquanto démodé. “Chi è questo strano tipo? Che cosa ci fa su questo treno? Dov’è diretto e perché sta viaggiando proprio in quel giorno infrasettimanale?”, pensai.

Essendosi accorto che lo stavo osservando, accennò a un sorriso e mi disse in tono solenne:

– Forse le sembrerà strano con questo caldo, come vado vestito. In realtà questo è l’abbigliamento che più mi si addice, anche perché mi occupo di apparenza.

– Scusi? – chiesi basito.

-Sì signore. Ha capito bene. Di apparenza. E me ne vanto. In un mondo in cui l’apparenza ha conquistato tutto e tutti, nessuno sa più distinguere cosa è bello da cosa è brutto. Ma che cosa è bello e che cosa è brutto nella nostra società?

Mi parve di sognare. Dove voleva arrivare questo tizio così strano? Cosa stava cercando di dirmi?

Per un istante mi guardò stralunato, come se mi chiedesse implicitamente di trovare io una risposta ai quesiti che aveva appena esposti.

Subito dopo invece riprese a parlare:

– Vede signore, lei è molto giovane e forse non ha esperienza in questo campo; ma io di apparenza me ne intendo e le posso dire che nella società di oggi tutto ciò che appare ha preso il sopravvento in maniera arrogante e  molto conformista.

– Che cosa vuol dire? – chiesi incuriosito.

– Voglio dire che nel mondo di oggi siamo tutti sempre più condizionati dalle immagini che ci vengono proposte dai mass media a cui molti finiscono per sottomettersi.

– E questo secondo lei è un bene o un male? – chiesi curioso di seguire più che l’opinione del mio vicino, il filo del suo ragionamento.

– E’ un male! E’ un malissimo, signore mio! – esclamò alzando le braccia ed emettendo un sibilo stranissimo da sotto i baffetti argentati, simile a quello che emette il falco pecchiaiolo. –  La Belle Époque! Quella sì che è stata l’epoca d’oro delle apparenze! A quei tempi ci si poteva divertire davvero! Mica come adesso dove tutto è diventato un mercato e i prodotti commerciali hanno successo solo se hanno una bella apparenza! E gli uomini e le donne lo stesso!

Dopo di che tirò fuori una strana rivista dall’aspetto vetusto e s’immerse nella lettura, scandendo ora qua ora là dei gridolini di gioia e di stupore per taluna o tal’altra immagine che avevano attratto la sua attenzione.  Dopo un po’ però chiuse la rivista e si appisolò.

Io nel frattempo mi ero messo a  guardare, fuori dal finestrino, il paesaggio che scorreva inesorabile a una velocità sempre crescente. Era un paesaggio che conoscevo nei minimi particolari per aver percorso quella stessa tratta innumerevoli volte, eppure ad ogni viaggio mi sembrava di scorgervi qualcosa di nuovo: un muretto, una scritta o un cespuglio che forse non avevo notato le volte precedenti. Avevo la strana sensazione che, una volta passati dinanzi al mio sguardo immobile, quei muretti, quelle case, quelle scritte, quei disegni fossero destinati a scomparire per sempre dalla mia vista e chissà quando e semmai un giorno sarei ritornato a scorrerli velocemente  per poi vederli inghiottiti di nuovo dalla velocità del treno.

Di tanto in tanto gettavo un occhio sulla strana pubblicazione che il mio compagno di viaggio aveva lasciata aperta sul sedile vuoto di fianco al suo. Non sapevo di cosa si trattasse, ma mi sentivo incuriosito da quella rivista così insolita. La mia curiosità stava crescendo a tal punto che quando l’uomo si svegliò, fui lì lì per chiedergli se potessi darvi un’occhiata. Invece mi trattenni. Sentivo che se avessi ceduto al mio istinto sarei stato come risucchiato dalla stessa fantasia nostalgica e alquanto malsana che lo caratterizzava. E non avrei voluto per niente al mondo che questo accadesse. Volevo restare con i piedi ben ancorati sulla terra e capire fino a che punto quell’individuo si sarebbe spinto a rendermi parte di tutte le sue elucubrazioni sull’apparenza. Certo su alcuni punti poteva pure avere ragione, ma era il suo tono così enfatico e saccente che mi stava infastidendo.

Quando si svegliò, ricominciò a parlarmi:

– Lei saprà bene – mi disse sempre con un piglio d’arroganza – che i servizi e i beni di prima necessità, nel nostro disgraziato paese, sono sempre legati all’apparenza. Per vendere un prodotto lo si agghinda e lo si confeziona per bene, in modo che l’acquirente potenziale possa sentirsene attratto. Deve sapere, caro signore, che io, occupandomi di apparenze, presto particolare attenzione a  tutto quello che appare a prima vista ma che in realtà non è, ovvero a ciò che è molto diverso da come lo si potrebbe pensare.

E, prima che io mi fossi anche solo azzardato a rispondergli, continuò:

– Sa di apparenze ce ne sono un po’ dappertutto e sono molto più numerose di quante se ne possano immaginare.

– Mi scusi – osai chiedergli – ma quali apparenze?

– Tutte!

– Come tutte? – esclamai.- Mi spieghi un po’!

– Tutte! – mi rispose divertito. – Vede caro signore, noi viviamo nella società delle apparenze che ogni giorno ci sfiorano, ci colpiscono, ci sfruculiano la mente e finiscono per condizionare tutti i nostri comportamenti e a turbarci in profondità. Come dire? Anche lei si renderà conto che i vecchi princìpi di una volta adesso non esistono più, che tutto è diventato una moda, una vetrina, un prodotto da proporre a chi in questa società è ancora così ingenuo e stupido da farsi abbindolare…

– Ma lei è sicuro – lo interruppi –  di quel che sta dicendo?

– Ma certo signore. Ne sono arcisicuro!  – dopo un istante – ma lei, mi scusi, che lavoro fa?

– E’ proprio per questo che glielo sto chiedendo. Faccio l’insegnante alla scuola superiore.  Mi occupo dell’educazione degli adolescenti e non mi sembra che le cose stiano proprio così.

Vidi allora il mio interlocutore emettere uno strano fischio di disapprovazione e riprendere immediatamente a parlare.

-Uh uh uh signore mio, ma allora… ma allora… Eh sì, signore mio; se lei è un professionista dell’educazione, lo dovrebbe sapere… lo dovrebbe sapere ben meglio di me eh eh eh!

– Scusi, ma che cosa?

-Come ma che cosa? – esclamò quasi seccato – che tutti i ragazzi e specialmente gli adolescenti, si burlano degli adulti, non dicono mai la verità e le cose che uno tenta invano d’inculcar loro nella testa gli entrano da un orecchio per uscirgli immediatamente dall’altra parte!

– Ma non è vero! – ribattei seccato. – Ma lei che ne sa degli adolescenti di oggi?

– Ne so! Ne so! Io so tutto!

Questo tizio mi stava davvero facendo affiorare i nervi a fior di pelle. Non ho mai sopportato quelli che affermano di sapere tutto e il mio compagno di viaggio sembrava appartenere a quella scellerata categoria di persone il più delle volte arroganti e qualunquiste.

Inghiottì la saliva e continuò a parlare:

– Ma non li vede anche lei tutti i ragazzini con i telefoni cellulari e i vestiti firmati, tutti impomatati, costantemente assorbiti dai loro messaggini sui telefonini, dalla musica commerciale che ascoltano in continuazione astraendosi dalla realtà e da tutto quello che li circonda? E tutti questi extracomunitari che devono dare l’impressione di fare la fame per la strada e ogni tre per due fermano i passanti per farsi dare qualcosa in elemosina e poi possiedono anche loro dei telefoni cellulari di ultimo grido con cui comunicano con la loro famiglia oppure con chi hanno lasciato nel loro paese d’origine? Tutto nella società in cui viviamo è svuotato dei propri conteunti e ridotto a un accumulo d’immagini accattivanti! Basta dare una parvenza di democrazia! Basta far sì che la gente creda che  i diritti di tutti siano tutelati, anche se non è vero! Ci s’illude. Ci s’illude di un’apparenza che poi regolarmente finisce per schiacciare i più deboli!

Il mio compagno di viaggio aveva pronunciato queste ultime parole con un piglio talmente arrogante da farmi passare la voglia di starlo ad ascoltare. Certo, sui princìpi generali saremmo pure andati d’accordo, ma davvero cominciavo a non sopportarlo più.

Quando all’improvviso tacque, mi sembrò per un istante di tornare a respirare e, dopo un momento di silenzio, fui io a parlare. Cercai di controbattere, se non altro per spezzare la monotonia del suo interminabile monologo. Provai a riportare il discorso sui ragazzi adolescenti. Perché se è vero che si acconciano spesso nei modi più impensati seguendo ora questa, ora quella moda, è anche vero che il loro equilibrio è sempre più instabile. La loro incolumità è minata di continuo dalle opinioni espresse sulla rete e, in particolar modo sui social networks, da loro coetanei o da ragazzi di poco più grandi. E’ là che, a mio avviso, in questo momento storico, per lo meno nella società occidentale, tutto quello che riguarda il mondo dell’apparenza gioca un ruolo devastante, specialmente sullo stato d’animo e sull’equilibrio psicologico sempre più instabile degli adolescenti. Avrei voluto intavolare con lui un dialogo su questo argomento, ai miei occhi di scottante attualità, ma il mio compagno di viaggio non mi ascoltava, intento com’era a seguire soltanto il flusso dei suoi pensieri.

Fui allora io ad appisolarmi, per non so bene quanto tempo. Quando mi risvegliai, lo vidi in piedi di fronte a me, con un’espressione completamente diversa. Contrariamente a quanto aveva affermato, l’uomo dai baffetti s’era cambiato d’abito. Ora assomigliava a un normalissimo viaggiatore. Sembrava che il suo interesse per l’apparenza fosse completamente svanito.

Mi apostrofò in tono perentorio chinandosi verso di me:

– Sono stato uno statista. Sono un grande illusionista e oggi ho gabbato anche te!

Poi si allontanò, uscì allo scompartimento e sparì nel nulla.

 

Ogni tanto mi chiedo se l’incontro con questo personaggio così singolare non sia stato tutto un sogno. Eppure quel viaggio fatto ormai molti anni fa lo ricordo bene quasi nei minimi particolari. E questo mio strano compagno di viaggio magari è davvero esistito fuori dalla mia fantasia di curioso inventore di storie e d’illusioni.

 

venerdì 30 aprile 2021

Oramai non è più tempo di stupirsi

Oramai sono morti

119000, sì proprio così

centodiciannovemila,

soltanto in Italia

oggi venticinque aprile duemilaventuno

Ah si?

e nel mondo?

Beh nel mondo sono molto di più

Vediamo,

si, ecco: sempre oggi sono

3113120, sì è esatto

tremilionicentotredicimilacentoventi!

Ma è pazzesco!

E’vero!

E di chi è la colpa?

Con chi bisogna prendersela?

Con la politica?

Con le strutture sanitarie locali?

regionali? nazionali?

Con i medici? Con gli infermieri?

Col ministro della salute?

Con quello della giustizia?

Con il primo ministro?

Col papa?

La gente comune

non sa più cosa pensare

si sente presa dai Turchi

non sa più con chi arrabbiarsi.

 

No, non c’è più da stupirsi

La morte qui adesso è all’ordine del giorno.

Non fa più notizia ormai

Sulle prime pagine dei giornali

È come se fosse l’amara consuetudine

D’una forza più grande e potente

di tutti noi messi insieme

si è stata una disgrazia, è vero,

ma adesso ci sono i vaccini

eppure la gente continua a morire.

 

E appena si abbassano le morti

e i contagi, la gente riprende

ad uscire, a incontrarsi,

a farsi le serate,

gli aperitivi, gli inviti a cena,

molti rigorosamente senza mascherina

né nessun altro tipo di protezione contro il virus.

Cosa bisogna pensare?

Come bisogna intervenire?

E  i contagi riprendono

E le morti e la sfiducia

Nella scienza, nella medicina,

nel progresso sfrenato

e dissennato

che sta portando l’uomo

alla distruzione del proprio pianeta

della proprio entourage

del proprio se stesso.

L’uomo è allora davvero causa del proprio dolore?

Sois sage ma douleur” diceva Baudelaire

e invece sembra che l’uomo non voglia ascoltare

e spanda il dolore a se stesso

e a chi gli càpita d’incontrare

indiscriminatamente

 

Poi in fondo c’è una distesa bianca e compatta

che ci inghiottirà tutti,

chi prima, chi dopo,

inesorabilmente.

 

 

Tommaso


domenica 25 aprile 2021

 

 

Andrea Zanzotto, la poesia mia difesa

Il poeta incontra Giorgio Albertazzi e un gruppo di giovani

Andrea Zanzotto, la poesia mia difesa

 

Andrea Zanzotto (1921-2011) è stato uno dei maggiori poeti del Novecento. In questo filmato rarità di Rai Teche, l’attore Giorgio Albertazzi, insieme a un gruppo di ragazzi, intesse con l’autore stesso un dialogo incentrato sul rapporto tra poesia e realtà. La poesia Sì, ancora la neve!, tratta dalla raccolta La Beltà (1968), costituisce uno degli esiti più maturi di una poetica basata sull’innovazione lessicale, sullo scardinamento del linguaggio, un linguaggio in cui il poeta letteralmente si “inabissa”. A tale sperimentalismo è sottesa l’idea della poesia come atto di verità. La sua valenza conoscitiva tuttavia non si risolve in un risultato, in un approdo, ma consiste piuttosto in una ricerca perenne di senso. La poesia di Zanzotto è precipuamente “resistenza alla perdita di senso” dell’uomo e del mondo, tensione verso un significato che si dà in modo intermittente e solo nel linguaggio poetico, la cui capacità di significazione è comunque sempre messa in discussione.
Questo tentativo di afferrare un mondo, una realtà recalcitrante, che sempre sfugge, è accompagnato dalla consapevolezza profonda dell’accidentalità dell’uomo. Il richiamo alla neve è dunque il richiamo a qualcosa di imperituro: la neve è sempre la stessa di cento milioni di anni fa, nonostante la corruzione consumistica attuale. Le ultime riflessioni che emergono in questo filmato sono dedicate alla vocazione rivoluzionaria della poesia e al rapporto tra quest’ultima e gli sviluppi tecnologici che hanno segnato la più recente storia dell’uomo. Zanzotto auspica una tecnologia pulita ed elegante, in accordo con la natura, una tecnologia che sia “poeticamente programmata”.

Nato a Pieve di Soligo nel 1921, Andrea Zanzotto partecipò alla Resistenza nella fila di Giustizia e Libertà, occupandosi del settore stampa e propaganda. A guerra finita emigrò in Svizzera e in Francia per un anno, rientrando alla fine del 1947 e ripartendo dalla scuola, dove aveva iniziato l'insegnamento poco prima della guerra. Per la sua produzione artistica, cominciata in giovane età, fu decisiva la partecipazione, nel 1950, al premio San Babila. La giuria, composta dai più grandi poeti italiani dell'epoca (Ungaretti, Montale, Quasimodo, Sinisgalli e Sereni), gli attribuì il primo premio per una serie di scritti poetici che saranno pubblicati un anno dopo con il titolo Dietro il paesaggio. L'esperienza partigiana e l'attaccamento al suo territorio ed al suo passato ne hanno segnato l'opera, tornando attraverso i temi sociali, politici e ambientali. "Che cosa si capisce della vita dopo 90 anni?" gli aveva chiesto un giornalista nel giorno del suo 90° compleanno. "Niente - aveva risposto lui - per dire parole che valgano la pena bisognerebbe almeno averne 900 di anni...".

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Tiri in porta
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Fuorigioco
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Occasioni da rete
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Palle recuperate
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Ammonizioni
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Andrea Zanzotto (1921-2011) è stato uno dei maggiori poeti del Novecento. In questo filmato rarità di Rai Teche, l’attore Giorgio Albertazzi, insieme a un gruppo di ragazzi, intesse con l’autore stesso un dialogo incentrato sul rapporto tra poesia e realtà. La poesia Sì, ancora la neve!, tratta dalla raccolta La Beltà (1968), costituisce uno degli esiti più maturi di una poetica basata sull’innovazione lessicale, sullo scardinamento del linguaggio, un linguaggio in cui il poeta letteralmente si “inabissa”. A tale sperimentalismo è sottesa l’idea della poesia come atto di verità. La sua valenza conoscitiva tuttavia non si risolve in un risultato, in un approdo, ma consiste piuttosto in una ricerca perenne di senso. La poesia di Zanzotto è precipuamente “resistenza alla perdita di senso” dell’uomo e del mondo, tensione verso un significato che si dà in modo intermittente e solo nel linguaggio poetico, la cui capacità di significazione è comunque sempre messa in discussione.
Questo tentativo di afferrare un mondo, una realtà recalcitrante, che sempre sfugge, è accompagnato dalla consapevolezza profonda dell’accidentalità dell’uomo. Il richiamo alla neve è dunque il richiamo a qualcosa di imperituro: la neve è sempre la stessa di cento milioni di anni fa, nonostante la corruzione consumistica attuale. Le ultime riflessioni che emergono in questo filmato sono dedicate alla vocazione rivoluzionaria della poesia e al rapporto tra quest’ultima e gli sviluppi tecnologici che hanno segnato la più recente storia dell’uomo. Zanzotto auspica una tecnologia pulita ed elegante, in accordo con la natura, una tecnologia che sia “poeticamente programmata”.

Nato a Pieve di Soligo nel 1921, Andrea Zanzotto partecipò alla Resistenza nella fila di Giustizia e Libertà, occupandosi del settore stampa e propaganda. A guerra finita emigrò in Svizzera e in Francia per un anno, rientrando alla fine del 1947 e ripartendo dalla scuola, dove aveva iniziato l'insegnamento poco prima della guerra. Per la sua produzione artistica, cominciata in giovane età, fu decisiva la partecipazione, nel 1950, al premio San Babila. La giuria, composta dai più grandi poeti italiani dell'epoca (Ungaretti, Montale, Quasimodo, Sinisgalli e Sereni), gli attribuì il primo premio per una serie di scritti poetici che saranno pubblicati un anno dopo con il titolo Dietro il paesaggio. L'esperienza partigiana e l'attaccamento al suo territorio ed al suo passato ne hanno segnato l'opera, tornando attraverso i temi sociali, politici e ambientali. "Che cosa si capisce della vita dopo 90 anni?" gli aveva chiesto un giornalista nel giorno del suo 90° compleanno. "Niente - aveva risposto lui - per dire parole che valgano la pena bisognerebbe almeno averne 900 di anni...".

 

 

 

 25 APRILE 2021

“Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buonafede, più idealista, c'erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l'Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c'era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, ché di queste non ce ne sono.”
Con queste parole di Italo Calvino cerchiamo di rispondere ai tentativi, purtroppo sempre in auge, di mettere sullo stesso piano chi combatteva nella Resistenza e chi invece si batteva per il trionfo del Nazismo.
Non facciamo fatica ad ammettere che nel corso della lotta di Liberazione e nel primissimo dopoguerra, alcuni partigiani, ex partigiani, o soggetti che si proclamavano tali, si macchiarono di crimini gravi, talvolta totalmente gratuiti ed ingiustificati, talvolta mossi da un desiderio di rivalsa, dopo vent’anni di dittatura e cinque di guerra durissima.
Fatti che comunque non giustificavano vendette immotivate e a freddo.
Detto ciò non si possono, da alcun punto di vista, mettere sullo stesso piano gli uomini e le donne della Resistenza con coloro che scelsero di collaborare con il regime nazista nell’occupazione del Paese, nelle stragi contro i civili; con coloro che parteciparono attivamente ai rastrellamenti, alle torture alle deportazioni di tanti e tante, mandati a morire nei campi di prigionia e sterminio.
45.000 partigiani morti, 20.000 mutilati o invalidi, la partecipazione delle classi subalterne alla lotta per l’emancipazione collettiva, per la Liberazione del Paese, per la definitiva cancellazione del fascismo, gli scioperi sociali, il no dei tanti prigionieri italiani ad entrare nei reparti della RSI, le diserzioni, il freddo, la fame, il coraggio e il sacrificio.
Tutto questo e molto altro ancora è stata la guerra di Resistenza.
Una guerra durissima, in cui il variegato movimento partigiano combatteva in primo luogo contro il nazifascismo e in seconda battuta per consegnarci un Paese diverso in cui vivere dopo il conflitto.
Se poi, come diceva Norberto Bobbio, “l’Italia non è diventata quel paese moralmente migliore che avevamo sognato: la nuova classe politica, salvo qualche rara eccezione, non assomiglia a quella che ci era parsa raffigurata in alcuni protagonisti della guerra di liberazione, devoti al pubblico bene, fedeli ai propri ideali, intransigenti, umili e forti insieme.”, non è certo per responsabilità dei partigiani, che hanno sempre avuto la forza di ammettere anche i limiti, gli errori e le responsabilità della Resistenza.
Fatto, se possibile, che li rende ancora più meritevoli di essere ricordati.

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martedì 9 marzo 2021

 

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 Alda Merini, "Paura dei tuoi occhi"

 

Paura dei tuoi occhi,
di quel vertice puro
entro cui batte il pensiero,
paura del tuo sguardo
nascosto velluto d'algebra
col quale mi percorri,
paura delle tue mani
calamite leggere
che chiedono linfa,
paura dei tuoi ginocchi
che premono il mio grembo
e poi ancora paura
sempre sempre paura,
finché il mare sommerge
questa mia debole carne
e io giaccio sfinita
su te che diventi spiaggia
e io che divento onda
che tu percuoti e percuoti
con il tuo remo d'Amore.

 

 

 

 

martedì 23 febbraio 2021

 

 

TRENTACINQUE ANNI FA VENOIVA UCCISO LUCA ROSSI A MILANO!

DOPO TANTO TEMPO LA MEMORIA RESTA VIVA!

UN ABBRACCIO LUCA!

sabato 20 febbraio 2021

Sono molto felice di annunciare la pubblicazione del mio nuovo libro di poesie.

Ringrazio tutti coloro che su Facebook mi hanno manifestato il loro affetto e la loro amicizia! E sono veramente tanti!😀Potrebbe essere un'immagine raffigurante testo