venerdì 11 febbraio 2022

 

La poesia di Tommaso Meldolesi è in costante equilibrio fra puro lirismo e riflessione filosofica; ma non intendo questo come una sorta di poesia bifronte, ricca ma che magari non riesce a fondere i due elementi, che restano fili indipendenti e oscillanti quasi come due voci separate. No: Meldolesi – e si vede bene in questo Oltre il muro del tempo, riesce a innervare il lirismo (che domina tre delle quattro sezioni, eccetto la prima) di una riflessione di fondo, in virtù della quale gli squarci lirici fungono da exempla concreti, direi da correlativi oggettivi per un discorso più ampio e profondo, che tocca snodi centrali del pensiero non solo contemporaneo.

Essere e divenire, spleen e slancio vitale, spazio e tempo: ecco le polarità principali che mi pare di rinvenire in un libro bello e importante come questo.

Il tempo e lo spazio, in realtà, per la fisica moderna (che parla di spaziotempo) sono quasi indistinguibili: ci muoviamo anche nella stasi, viaggiando con il nostro pianeta attorno al sole a 30 km/sec e, alle nostre latitudini, a circa 1000 km/ora di rotazione: l’idea di stasi è  quasi irrealizzabile, se non in un universo morto.

Gettarsi oltre il muro del tempo (e dello spazio, quindi), cioè viaggiare nello spazio e nel tempo, come suggerisce la fisica, è un’esigenza vitale come il crescere. Questa non è, spero, una astratta elucubrazione personale, ma la materia stessa di cui è fatto questo libro, che mostra una struttura molto calibrata, grande coerenza immaginativa e coesione testuale.

 

È la prima sezione che si incarica di costruire lo sfondo che sarà ulteriormente arricchito di figure nelle tre parti successive e che costituirà globalmente quello che nella Nota introduttiva Tommaso definisce “Viaggio nella memoria, viaggio nella mente e insieme della vista che coglie in un istante immagini e sensazioni”. Viaggio, appunto, per uscire dalla stasi e dalla solitudine così bene descritte già nel primo testo: “ed io rimango solo, nella pioggia, / a rimirare il mondo che si sfaglia” – dove, in quel rimirare, c’è un’eco non troppo velata del leopardiano “sedendo e mirando” (anche qui abbiamo un muretto e un cespuglio, che richiamano la siepe dell’Infinito). Appunto, questo è un viaggio nell’Oltre, che viene accolto in anafora nel terzo testo, che ci stimola quasi ad andare “oltre . . .  il sacco vuoto del mio corpo avvilito”: uscire da sé, sperimentare la dinamicità, il divenire, la vita direi, uscendo da una mote spirituale che non è chiaramente solo quella di un corpo singolo, di una mente, di una spiritualità e di una biografia.

A tratti emerge la perdita di un Tu (Conseguenze, p. 61) descritto come immobile “prigioniero” (“rimani da sola / a fissare i colori”, p. 25). Notiamo con attenzione ogni singola parola di questa striscia, emblematica della stasi e del vuoto. Appare subito dopo un’altra parola chiave, vuoto: “Stai misurando la pregnanza del vuoto / in questa stanza spoglia” (p. 26).

Ecco, provando a tirare le somme di un discorso (che per forza di cose non può essere troppo approfondito in questa sede), un rapido spoglio dei lemmi ci mostra due opposti e ben distinti campi semantici: da un lato abbiamo il campo predominante di stasi/silenzio/vuoto/morte, dall’altro il campo viaggio/oltre/esperienza/vita. Tra le molte e originali modulazioni annoto migrazione: molto interessante, perché proietta il libro nella concretezza del presente e della cronaca. Sono modulazioni che attestano un poeta che (in una mia formuletta) considera l’Io non tanto un oggetto tematico, ma un punto di vista da cui scrivere della modernità, del mondo, di noi. E che non fa astratta filosofia, ma è capace di innervare il discorso poetico di pensiero vivo e profondo.

Ho parlato di coerenza e coesione, che testimoniano se ce ne fosse bisogno come un libro di poesia non sia solo un libro di poesie, ma debba esibire una visione del mondo.

 

Stabilite così almeno le coordinate testuali del libro, le tre sezioni successive (per nulla meno interessanti) procedono a svolgere il discorso sempre restando in re, riportando frammenti (spesso con affetto, specie nella memoria) di questo “vuoto evanescente”, mentre barlumi di sirene che attraggono e tentano l’Io lirico ad uscire dall’immobilità.

Oltre il muro del tempo non è un libro apocalittico, ma certo è tutto intessuto nelle problematiche e nei drammi della presente modernità. Saranno uno scarabeo che “inerpica la china” (p. 52) e un insetto che “s’incammina a fatica” (p. 53) a indicare un percorso ideale per la scoperta del mondo e l’uscita dalla staticità su “zattere del pensiero” (p. 63). E questa lucidità è l’obbiettivo più alto di un libro di poesia.

 

                                                                        Mauro Ferrari

 

 

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